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Sanità | 03 aprile 2018, 08:30

Alzheimer: Cnr e San Martino giocano d'anticipo

Una diagnosi precoce e la possibilità di una cura più efficace contro l’Alzheimer. Non è una speranza, ma una realtà concreta grazie allo studio condotto da un gruppo di ricercatori genovesi sui pazienti dell’Unità Valutativa Alzheimer dell’Ospedale San Martino

Alzheimer: Cnr e San Martino giocano d'anticipo

Una diagnosi precoce e la possibilità di una cura più efficace contro l’Alzheimer. Non è una speranza, ma una realtà concreta grazie allo studio condotto da un gruppo di ricercatori genovesi sui pazienti dell’Unità Valutativa Alzheimer dell’Ospedale San Martino.

Si tratta appunto di una ricerca interdisciplinare sui metodi strumentali di supporto alla diagnosi, quali la PET, che vede protagonisti Fabrizio De Carli dell’Istituto di Bioimmagini e Fisiologia Molecolare del Cnr e Andrea Chincarini dell’Istituto Nazionale di Fisica nucleare, insieme all’équipe medica coordinata da Flavio Nobili del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Genova, in collaborazione con l’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del Cnr, il dipartimento Ambiente e salute dell’Istituto superiore di sanità e il Karolinska Institute di Stoccolma.

Dunque nel capoluogo ligure, centro all’avanguardia nella diagnostica per immagini, grazie alla PET oggi è possibile predire con oltre il 90% di accuratezza e in tempi più brevi rispetto alla risonanza magnetica, l’evolversi di alcune patologie in Alzheimer.

Infatti la Pet è “un esame funzionale che vede l’attività delle regioni celebrali - spiega De Carli del Cnr - Si tratta di una tecnica di neuroimmagini grazie a cui, iniettando nel paziente una sostanza che si diffonde nel cervello, si capisce quali sono le regioni colpite dalla malattia. Infatti l’Alzheimer determina la morte dei neuroni, a causa della degenerazione dei tessuti, e in particolare dell’ippocampo. Questa, però, rappresenta una fase già successiva rispetto a quella che si osserva con la Pet, che evidenzia il danno prima che diventi strutturale”. E lo vede addirittura con un anticipo di anni rispetto alla più tradizionale risonanza.

Lo studio ha coinvolto circa 200 pazienti del San Martino; e quello che bisogna considerare è che “una percentuale attorno al 20% dei pazienti con deficit cognitivo lieve sviluppa la malattia di Alzheimer in forma conclamata nell’arco di ogni anno per i primi due o tre anni – prosegue De Carli - Mentre per coloro nei quali perdura la fase prodromica, possono essere utili altri dati provenienti da test neuropsicologici o da esami strumentali, come la risonanza magnetica, per formulare una diagnosi, che può avvenire anche a tre anni di distanza dagli esami iniziali”.

Quindi in assenza di farmaci realmente efficaci per rallentare il decorso della malattia, una diagnosi precoce può aiutare medico e familiari ad organizzare nel modo migliore la vita del paziente, per limitare i disagi e i rischi che la malattia comporta, e a introdurre terapie farmacologiche di supporto. Quando, invece, la diagnosi precoce tende a escludere l’Alzheimer, si valutano altre ipotesi, tra cui le sindromi depressive. Non tutti i pazienti in cura al San Martino, però, vengono sottoposti a PET: “E' il neurologo a decidere ed essendo tecniche in evoluzione, ci sono criteri stabiliti da linee guida dettate dai comitati scientifici, che indicano, appunto, quando può essere utile sottoporre il paziente a PET”.

Infine il gruppo di ricercatori genovesi che collaborano con il Centro per i Disordini Cognitivi e le Demenze dell’Ospedale San Martino, insieme ad altri gruppi italiani ed europei, sono attivamente coinvolti nello sviluppo di altri esami basati su PET per individuare la presenza di amiloide, una proteina strettamente associata allo sviluppo della malattia. “Si deposita - spiegano gli esperti - nel cervello con l’invecchiamento, per cui in una persona giovane rappresenta un elemento diagnostico forte. Il dato, quindi, avrebbe un importante significato diagnostico e prognostico, dal momento che in pazienti relativamente giovani, la presenza di questa proteina dovrebbe essere minima”.

Medea Garrone

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