L’immagine della ciminiera dell’ENEL accoglie chi arriva alla Spezia in autostrada, e i visitatori diretti alle Cinque Terre, Lerici o Portovenere.
Quando nei primi anni Sessanta fu costruita la centrale, le ciminiere che sputavano scarichi tossici tra i monti e il magnifico golfo della Spezia erano quattro. Da qualsiasi punto del Golfo dei Poeti, così chiamato perché ispirò Shelley, Soldati e Montale, si vede il fumo salire lento e inesorabile dagli impianti ENEL. Il cielo sui parchi delle Cinque Terre e Portovenere è pieno di carbone: sono pubblicizzate in tutto il mondo come aree protette, ma le istituzioni non sono state capaci di proteggerle abbastanza.
Qualche manager accorto decise di intitolare la centrale ENEL della Spezia proprio ad Eugenio Montale. Negli anni Sessanta bruciava circa 600 mila tonnellate di carbone l’anno, era la più grande d’Europa e rappresentava il 5 per cento della produzione energetica nazionale. Il vento trasportava le sue polveri in tutta la provincia, per poi lasciarle depositare sulle casette colorate che compongono la geografia ligure, sul mare e sui boschi. In quegli anni La Spezia diventò la prima provincia italiana per danni alla vegetazione, a causa delle piogge acide liberate dai gas tossici presenti nell’aria.
I polmoni degli spezzini sono pieni di polveri ultrafini cancerogene, che i filtri dell’ENEL non sono in grado di trattenere. La pulizia dei tubi della caldaia, che rilascia una grande quantità di fuliggine, viene fatta di notte. Negli anni Settanta la provincia della Spezia raggiunse il secondo posto in Italia per decessi causati dai tumori dell’apparato respiratorio. Le ultime (e scandalosamente datate) ricerche disponibili riguardano il periodo 2000-2001: mostrano come alla Spezia il tasso di mortalità per malattie tumorali e cardiovascolari sia molto più alto rispetto alla media nazionale. È difficile pensare che sia solo un caso se i maggiori tassi di inquinamento nella regione si riscontrano proprio attorno alle centrali della Spezia e Vado Ligure.
A metà degli anni Settanta i partiti “di sinistra” si sostituirono alla DC nell’amministrazione della Spezia, e nel decennio successivo si arrivò a bruciare 1.800.000 di tonnellate di carbone l’anno. La popolazione, stanca di spazzare fuliggine dai propri terrazzi, iniziò a mobilitarsi, e nel Novanta ottenne un referendum consultivo: venne stabilito che la centrale dovesse essere depotenziata, funzionare a metano per più del 50 per cento della sua produzione e chiudere gli impianti entro il 2005. Fu allora che arrivò il colpo di scena: nel 1991 il sindaco Burrafato chiuse la centrale per violazione della legge Merli sugli scarichi termici. Non sembra però possibile chiudere un impianto previsto dal piano energetico nazionale, e la vicenda fu risolta alla maniera italiana: si cambia la legge, e ciò che prima non era legale lo diventa. La centrale fu riaperta e si iniziarono i lavori per renderla compatibile con le esigenze espresse dai cittadini nel referendum del Novanta.
Nel 2001 ENEL presentò alla città e ai suoi 220 lavoratori una centrale nuova di zecca: un gruppo a carbone e due a metano, che è più caro ma produce il 90 per cento in meno di polveri sottili. Ad oggi, però, i gruppi a metano sono praticamente fermi e gli impianti funzionano a carbone per l’80 per cento della loro produzione.
La centrale Eugenio Montale è, per di più, illegale: non ha ancora ottenuto l’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale), l’autorizzazione che una direttiva comunitaria aveva stabilito dovessero avere tutti gli impianti entro il 2007. L’AIA viene rilasciata dal Ministro dell’Ambiente sulla base di un lavoro istruttorio svolto da una commissione tecnica, all’interno della quale il comune ha l’incarico di dare un parere sanitario. Nelle prossime settimane la procedura di rilascio dell’AIA potrebbe concludersi, ed ENEL ottenere l’autorizzazione a bruciare carbone per altri 8 anni. Non solo: c’è la possibilità che la centrale sia autorizzata a bruciare anche biomasse e combustibile derivato dai rifiuti (CDR).
Il Comitato cittadino SpeziaViaDalCarbone lamenta la mancanza di trasparenza delle istituzioni locali nella vicenda, e accusa il sindaco Massimo Federici (PD) di non avere ancora prodotto – o almeno rese pubbliche – delle indagini epidemiologiche adeguate. “Il documento del luglio 2010, presentato dall’Istituto Superiore di Sanità su incarico del Comune e consegnato alla città moltissimi mesi dopo, non ne contiene“, racconta Marco Grondacci, esperto in diritto ambientale e membro del Comitato. “Quello presentato lo scorso agosto non ci è ancora stato consegnato, malgrado le nostre esortazioni. Noi chiediamo che, come previsto dell’AIA, venga dimostrato che bruciare 1.200.000 tonnellate di carbone all’anno è compatibile e sostenibile in questo sito, tenuto conto delle specificità del territorio, che ospita la centrale ENEL da cinquantanni, un sito di bonifica nazionale e un porto di cui è in progetto il raddoppio. Occorre analizzare i dati statistici sotto il profilo sanitario e se si dimostra che la centrale non è sostenibile, allora chiediamo la chiusura del gruppo a carbone. Questo non vuol dire che non si produce più energia: esistono due gruppi a metano che potrebbero produrre più dei 600MW attualmente prodotti. Si tratta di produrre la stessa energia eliminando i danni ambientali causati dalla combustione del carbone”.
Il Comitato è nato durante l’estate per fare pressione sul sindaco. Sta portando avanti una campagna di raccolta firme, ha organizzato un presidio di protesta, una partecipata assemblea pubblica e il 18 ottobre si è riunito con la Commissione Ambiente del Comune della Spezia, per presentare le sue ragioni. Ha inoltre aderito alla mobilitazione nazionale contro le centrali a carbone del 29 ottobre.
Durante un incontro pubblico tenuto nel quartiere Pagliari, dove dalle case affacciate sul porto gli abitanti vedono le navi scaricare quintali di carbone, la portavoce del Comitato Daniela Patrucco ha precisato: “Noi non consideriamo Federici come un nemico, ma come il nostro interlocutore privilegiato. Gli chiediamo di impegnarsi al massimo delle sue possibilità all’interno della Commissione istruttoria per il rilascio dell’AIA, perché è responsabile della salute dei cittadini. I sindaci di altre città, malgrado non avessero elementi capaci di provare la relazione tra la presenza della centrale e i morti per cancro, hanno dato pareri negativi. Sarebbe bello che i cittadini sentissero che il sindaco è dalla loro parte”. Il sindaco nel suo programma elettorale scriveva: “La procedura di rilascio dell’AIA dovrà essere l’occasione per rimettere in discussione l’impianto nelle attuali funzioni e caratteristiche”.