- 15 settembre 2011, 18:07

La fabbrica nera del silenzio

Incidente all’Italiana Coke: una fatalità, ma di cui nessuno può parlare

Salutarsi una mattina come tante sulla porta di casa, ignari che quella sarà l’ultima volta che si potrà udire la sua voce, che si potrà guardarlo negli occhi.

Certo una fatalità, un gioco del destino, ma tanto quel che resta è una famiglia spezzata, oggi la famiglia spezzata di Santino Barberis. E poco importa se ora si apriranno dibattiti, discussioni, tavoli sulla sicurezza.

Troppo facile seguire la filosofia del dopo, quando i giochi sono fatti.

E poco importa anche se si dirà che è stata solo una fatalità, un “investimento” che sarebbe potuto succedere anche in altri luoghi: ancora una volta è successo all’Italiana Coke. Così come poco importa limitarsi a mettere l’Italiana Coke, la Emi o la Simic, sul banco degli imputati, senza che cambi nulla fino alla prossima tragedia. Resta il fatto che la sicurezza sul lavoro dovrebbe essere un fattore imprescindibile, sul quale non si dovrebbe neanche essere qui a discutere.

Dall’incontro tra sindacati e azienda di questa mattina ne è venuta fuori la necessità di istituire un tavolo permanente sulla sicurezza, creando anche un’apposita commissione. Sarà sufficiente per evitare altre tragedie?  

Perché una cosi' lunga catena di incidenti qualche dubbio e perplessità lo stanno sollevando.

Ma quello che deve far riflettere ancora di più è la rassegnazione di chi vive quotidianamente quella realtà.  

Neri. Così sono gli operai che escono dall'Italiana Coke. Così diversi dai dirigenti che, impeccabili, escono dalla palazzina della direzione con aria condizionata e vetri anti polvere. Perchè la differenza tra chi sta “dentro” e chi sta “fuori” c’è in ogni fabbrica, ma all’Italiana Coke è ancora più evidente, in quella polvere nera sulle tute e sulla pelle, negli occhi bassi, che non parlano. I guardiani, a loro volta obbligati, impediscono agli operai di fermarsi e fare commenti. A rischio il posto di lavoro. Ma quel nero sui volti, ottocentesco, tremendo racconta troppo bene di una condizione di lavoro che fa a pugni con le parole tecnologia, progresso, qualità dell'occupazione.

L’unica, però, che sia rimasta in Val Bormida.      

Fino a che punto è, però, giusto rischiare la vita ogni giorno, fino a che punto è giusto sottostare a un tale ricatto occupazionale?

e.m.