Il professore inizia con la spiegazione dei processi fisici che portano alla scissione del nucleo dell’uranio, il più comune combustibile usato nelle centrali, portando ad una reazione a catena che viene controllata dalle cosiddette sbarre di neutralizzazione, poste accanto a quelle di uranio, entrambe contenute nel “nocciolo” del reattore della centrale nucleare. Il nocciolo deve essere continuamente raffreddato dall’acqua circolante in un circuito, la quale a sua volta viene poi raffreddata da un condensatore; le sbarre di uranio usate finiscono poi come scorie, che dovrebbero essere smaltite…dovrebbero, appunto, ma finora non lo sono mai state in nessun posto al mondo, dato che finiscono imballate in grossi depositi, in attesa di trovare una definitiva, sicura, ma assai problematica sistemazione in cui possano perdere la loro radioattività nel corso di migliaia di anni, senza provocare contaminazioni all’ambiente e agli esseri viventi circostanti.
Gli U.S.A. hanno studiato per decenni come trovare questa sistemazione, ma poi vi hanno rinunciato; la Germania pensava di aver trovato la soluzione accumulando le scorie in caverne sotterranee alla profondità di 600 m. dal livello del suolo, ma di recente si sono notate delle perdite che hanno già inquinato le falde acquifere circostanti.
Quello delle scorie è senz’altro il maggiore e costante problema di una centrale nucleare, ma numerosi altri ve ne sono, a cominciare dal possibile, seppur in teoria improbabile, mancato funzionamento dei sistemi di emergenza, che dovrebbero entrare in azione in casi particolari, come ad esempio eventi naturali eccezionali: a seguito del fortissimo terremoto giapponese, il disastroso maremoto dell’11 marzo scorso, investendo la centrale di Fukushima, ha neutralizzato ben 3 sistemi di emergenza posti in serie (il secondo doveva entrare in azione se il primo non funzionava, il terzo se non funzionava nemmeno il secondo), i quali avrebbero dovuto garantire il continuo raffreddamento del nocciolo.
Tutto ciò è successo in un paese come il Giappone, ritenuto forse il più tecnologicamente avanzato nel mondo.
Pochi invece sanno che ben 34 dei 58 reattori nucleari presenti in territorio francese hanno manifestato negli ultimi 20 anni gravi difetti nei loro sistemi di emergenza.
Altro grave problema di una centrale nucleare è dato dal suo smantellamento, che richiede molti anni e molte decine di miliardi di euro, tali da dissestare economie anche di paesi ben più avanzati dell’Italia; a tutt’oggi ben poche centrali si possono dire definitivamente smantellate, e sono tutte di piccole dimensioni: tra queste, purtroppo, non sono ancora comprese le nostre, come Caorso, che avevano funzionato per ben pochi anni, e il cui processo di dismissione ancora in corso stiamo pagando tutti noi nella bolletta che ci arriva. La costruzione di una nuova centrale di medie dimensioni, sui 1000 MW, comporta una spesa minima, attualmente, di 3-4 miliardi di euro, mentre le spese esagerate proseguono in tutto il periodo del suo funzionamento: dall’estrazione dell’uranio, che comporta tra l’altro anche tumori e decessi nei minatori, alla continua manutenzione della centrale.
Tutto questo ci fa capire molto bene come l’energia nucleare non sia ritenuta ormai per nulla praticabile da quasi tutti gli stati del mondo: infatti dal 2005 la quantità totale di energia nucleare prodotta sulla Terra sta diminuendo; gli U.S.A non costruiscono più nuove centrali dal 1979, anno dell’incidente in Pennsylvania .
La maggior parte dei 500 reattori presenti nel mondo sono ormai considerati obsoleti: infatti la tecnologia del nucleare civile, a differenza di quella militare, non si è più rinnovata da decenni.
L’energia elettrica prodotta nel mondo è solo il 17% di tutta l’energia consumata; di questo 17%, il 14% è rappresentato dal nucleare, per cui quest’ultimo copre alla fine solo il 2% di tutti i consumi energetici mondiali.
I nostri governanti dicono che l’Italia ha bisogno del nucleare per sopperire al continuo fabbisogno di energia elettrica senza così dipendere molto dal nucleare francese, dal petrolio arabo, dal metano libico e russo e dal carbone asiatico e africano; ma non dicono che attualmente la potenza elettrica installata è doppia della domanda richiesta ( nella nostra provincia si pensi alla potenza energetica di Tirreno Power, che copre 5 volte il fabbisogno provinciale).
Il professore accenna infine ai danni alla salute da parte delle radiazioni, soffermandosi sulle dosi medio-piccole e prolungate, liberate ad esempio per un guasto in una centrale. Quasi tutti noi siamo già esposti al radon, fonte naturale di radiazioni, che, seppur a dosi bassissime, potenzialmente può già risultare pericolosa; l’esposizione cronica o prolungata a basse dosi radioattive è in grado di provocare variazioni nella struttura del nostro patrimonio genetico, con conseguenze a distanza di anni consistenti in aumento di incidenza di linfomi, leucemie e tumori, che tuttavia si manifesteranno maggiormente nelle generazioni successive.
Oggi, purtroppo, si verifica in questo senso un sinergismo tra vari agenti inquinanti: oltre le radiazioni, un ruolo sempre più rilevante è occupato dalle polveri sottili, emesse principalmente da centrali a carbone, inceneritori di rifiuti, traffico veicolare e impianti di riscaldamento, ultimamente anche da centrali a biomassa.
All'osservazione sul fatto che le centrali a carbone emettono anche radiazioni, il professore ha ammesso di non essere ferrato sul carbone, ma ha dichiarato senza mezzi termini che nucleare e carbone sono da abolire, mentre il metano può rappresentare una fonte di transizione verso l’uso finale e definitivo delle fonti rinnovabili.
Ha terminato sottolineando ancora come la domanda energetica sia progressivamente calata negli ultimi anni (vero, Tirreno Power?) e ha raccomandato la razionalizzazione dei consumi energetici, cercando di diminuirne gli sprechi.
In Breve
venerdì 15 novembre